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giovedì 23 luglio 2015

Inter e Salah: com'è andata realmente?


Salah alla Roma. Finalmente, mi viene da dire.
Una telenovela andata in onda in tutte le salse e in tutte le sfumature possibili senza che si sia mai fatta completa chiarezza su come si sia strutturata questa storia che ha fatto la fortuna delle pubblicazioni che ci hanno tratto una storia infinita a puntate.
Com'è andata davvero? La storia completa la sanno solo i protagonisti ma si può tentare di fare chiarezza quantomeno sul lato Inter.

Partendo da un presupposto: Salah sapeva fin dall'inizio di essere solo in transito alla Fiorentina. Altrimenti non avrebbe avuto senso di esistere quella scrittura privata attraverso cui l'entourage del giocatore o il giocatore stesso mettevano decisamente le mani avanti enunciando il diritto dell'egiziano di esprimere in forma scritta il benestare al proseguimento del prestito dal Chelsea.
E sarà bene fare un passo indietro su questo passaggio, per non dimenticarci che durante il mercato invernale Salah é stato avvicinato a parecchie squadre, tra cui in particolare Inter e Roma.
Poi, sappiamo com'è andata: la Roma ha preso Ibarbo probabilmente per accordi insiti nell'affare Nainggolan, l'Inter ha virato su Podolski che si poteva fare in prestito secco e ha preferito investire su Shaqiri grazie ai buoni uffici del Bayern, che con l'Inter non ha mai grossi problemi a fare affari a condizioni soddisfacenti per entrambi.
Per cui, a giudizio ed opinione dello scrivente, l'approdo di Salah alla Fiorentina è stato più interpretato come una soluzione di ripiego dallo stesso Salah che vi è stato incluso nell'ambito di un'altra trattativa, quella che ha portato Cuadrado al Chelsea: a quel punto la prospettiva, in caso di rifiuto, sarebbe stata la panchina se non la tribuna londinese per il proseguio della stagione.

Quanto succede in maglia viola lo sappiamo tutti: impatto sorprendentemente devastante, gol a ripetizione, sempre più occhi addosso da parte di tifosi ed addetti ai lavori e un'evoluzione che lo porta in breve ad una vetrina di pieno rilievo all'interno della Serie A.
A questo punto della storia entra in scena l'Inter, ma non esattamente nel modo che sarà dipinto più avanti nel tempo. Perché a un certo punto della sua esperienza viola, l'entourage capisce che è arrivato il momento del riscatto per l'assistito e lo va a proporre a diversi club italiani tra cui Inter, Roma, Juventus nel tentativo di creare un'asta basata sulle notevoli prestazioni che l'attaccante ha reso nella città toscana.
Al sottoscritto non è risaputo come ha reagito la Juventus, ma è piuttosto chiaro che a quel punto sia Inter che Roma non disdegnano affatto un giocatore che avevano già sondato pochi mesi prima per poi virare su altri obiettivi, che da ambo le parti iniziavano a rendere al di sotto delle aspettative.
Con la scrittura privata già citata, poi, chi curava gli interessi di Salah non si è nemmeno posto il problema di andare avanti con la Fiorentina e lo stesso giocatore, come diranno alcuni suoi compagni poi, a Firenze ci si sentiva di passaggio.
Trovare un accordo con Inter e Roma non è affatto un'impresa titanica, visto che l'intesa di massima si era già trovata pochi mesi prima senza poi concretizzare e che il rendimento del giocatore ha sicuramente alzato il tiro sull'ingaggio, ma non in maniera insostenibile.
I club che hanno portato avanti un discorso pro futuro su Salah sono tranquilli, avendo contattato un giocatore annunciato in scadenza prestito nel mese di Giugno.

Sul fronte Inter, unico che tratterò da adesso in poi non essendo abbastanza informato su altri club a tal punto da poter raccontare una storia ritenendola vera, arriva l'importantissimo mese di Maggio in cui viene decisa tutta la strategia di mercato dei mesi successivi.
In particolare viene deliberato da una riunione dirigenziale con Mancini che molte cose dovranno cambiare: in primis lo schema che dovrà essere tramutato in un 4-3-3 trasformabile in 4-3-1-2 all'occorrenza, in secondo luogo bisognerà formare una spina dorsale di nuovi giocatori che saranno negli intenti le colonne portanti della nuova Inter.
Tra questi ultimi però Salah non c'è: oltre a Miranda, contattato in tempi non sospetti e Yaya Touré, prima scelta per il centrocampo poi rimpiazzato da Kondogbia, l'elemento che Mancini vuole è un esterno abbastanza duttile e tatticamente intelligente da poter provvedere all'equilibrio che la squadra non ha: è qui che si inizia a spendere il nome di Ivan Perisic, profilo che Mancini ritiene fondamentale per la propensione alla doppia fase.
L'altro esterno in quel momento avrebbe certamente dovuto passare da una scelta minuziosa, ma il suo ruolo sarebbe stato solo complementare alla disposizione tattica e non risponde ad un solo identikit ma viene giocato su tanti tavoli alla ricerca dell'occasione di mercato giusta: si parte da Pedro con cui viene trovata un'intesa ma ci si scontra con richieste totalmente fuori budget da parte del Barcellona, si prosegue con Dybala su cui si è decisamente esagerato in termini di disponibilità Inter alla maxi offerta, si seguono altri profili. Tra cui Salah, sempre attenzionato purchè la sua acquisizione non vada oltre determinati parametri di mercato, visto e considerato che a inizio mercato l'Inter ha un solo grosso
investimento da fare(nelle attese Touré), massimo due se cede Kovacic a più di 30 milioni(dopo l'acquisto di Kondogbia Kovacic verrà poi tolto dal mercato su scelta dell'allenatore).
In tutta la pianificazione del mercato, Salah non ricopre mai un ruolo prioritario ma viene considerato solo se diventa possibile concludere a determinate condizioni, nell'ordine di 17-18 milioni di Euro al massimo e possibilmente con un pagamento dilazionato.

Quando arriva Giugno e l'Inter affonda pesantemente sul mercato, si inizia a capire che qualcosa con Salah non sta andando per il verso giusto dalle parti di Firenze: c'è in atto un braccio di ferro che non lascia presagire una conclusione felice.
Quando si alza tutto il polverone nell'ultima settimana di Giugno, l'Inter ha già mollato da un po' i contatti con il giocatore avendo già la sua parola ed è in tutt'altre faccende affaccendata (chiusura degli affari Miranda e Montoya, ad esempio): è in questo momento che i giornali non si lasciano sfuggire l'opportunità di romanzare la vicenda e iniziano a premere forte su un accordo "segreto" con l'Inter che diventa poi un argomento da prima pagina, in un vortice di mercato che coinvolge presto anche la Roma in modo più marginale, sebbene sia in quel periodo la Società più concreta sul giocatore.
Quando Salah litiga con la Fiorentina a seguito dell'ultimatum non rispettato, l'Inter è già su Jovetic: seguendo il montenegrino da un anno e mezzo, Ausilio incontra l'agente Ramadani tra fine Giugno e inizio Luglio e trova un accordo per il trasferimento del calciatore che è ben contento di tornare in Italia.
Intanto la situazione in casa Fiorentina precipita ed è abbastanza evidente a quel punto che la società gigliata si accorga di aver gestito con troppa superficialità la vicenda di un giocatore che forse non era atteso ai livelli con cui si è espresso. Cercano prima la linea dura con il giocatore e con gli agenti, poi una volta trovato da quel lato un muro di gomma tirano in ballo l'Inter attraverso la diffida e i tweet di Panerai, nella boutade che si conclude con il duro comunicato ufficiale della Società nerazzurra, che si sente tranquilla perchè è stata contattata dall'entourage del giocatore tempo prima e non ha nessuna intenzione di finire dentro una battaglia che non la riguarda e perchè al massimo questa battaglia avrebbe senso solo se fosse tra Fiorentina ed entourage di Salah.
Sul perchè la Fiorentina non abbia fatto la stessa mossa con la Roma, non so rispondere con certezza ma a logica posso pensare che i vari affari di Della Valle nella Città Eterna, non ultimo la ristrutturazione del Colosseo, abbiano forse frenato l'impeto di riservare ai giallorossi lo stesso trattamento.
La mia è una semplice ipotesi, ma a naso non credo che Salah avrebbe potuto valere un'impopolarità ampia nei confronti del numero uno gigliato in una piazza umorale come Roma, visti gli interessi in ballo.

Mentre succede tutto questo, ancor prima della guerra dei comunicati e mentre tutta la stampa avvicina progressivamente Salah a Milano, l'Inter aveva già dato una decisa accelerata su Jovetic intuendo la possibilità di prenderlo a prezzo di saldo, almeno 7-8 milioni in meno rispetto alla richiesta dell'anno prima poi non concretizzatasi.
Salah resta attenzionato, come specifica Fassone in un'intervista a Sky, ma il troppo clamore che gli è stato creato intorno non ha certo fatto bene a un affare che si sarebbe dovuto condurre a fari spenti per strapparlo alle migliori condizioni possibili. Anche perchè il prezzo è ritenuto troppo alto dalla dirigenza Inter che non è disposta ad andare oltre i 17-18 milioni dovendo fare i conti con un mercato costantemente inserito all'interno di determinati paletti.

In quel periodo, mentre tutti guardano a Salah, sono in pochi a dire che l'Inter fa sul serio per Jovetic, anche se nemmeno lui si poteva definire una priorità di mercato: vuoi perchè costa sicuramente meno arrivando da tutt'altro tipo di stagione, vuoi perchè a conti fatti la sua duttilità fa comodo, vuoi perchè le condizioni del montenegrino sono una scommessa ma vincerla significherebbe avere fatto un affare gigantesco, vuoi perchè non ci sono storie intricate e fastidiose di mezzo.

Ecco perché, se avete seguito i tweet del sottoscritto, la destinazione Roma per Salah vi è stata segnalata già da tre-quattro settimane: era chiaro fin da subito che erano i giallorossi quelli che facevano sul serio per l'egiziano e che l'Inter sarebbe tornata in gioco solo qualora avesse ritenuto Salah un'occasione di mercato, a condizioni economiche ben diverse e senza una possibile asta in cui entrare.
Sul presunto veto Chelsea-Fiorentina non c'è stato nessun riscontro, anche perchè Inter e Chelsea non hanno mai trattato concretamente Salah né lo avrebbero fatto dal momento che quando l'egiziano torna a Stamford Bridge, i nerazzurri stanno già contattando Manchester per Jovetic.

Ce n'è abbastanza per dire che Salah non è mai stato realmente prioritario ma solo complementare? Per il sottoscritto sì e su questa versione ci insisto da diverse settimane nonostante lo scetticismo della gran parte del mondo in merito.

La storia per come si è sviluppata é questa, arrivati a questo punto sta a voi crederci o meno.
Se però riconsiderate tutto ciò che si è detto o scritto e rileggete la storia sotto la lente di quanto vi ho scritto qua sopra, sono certo che la riterrete quantomeno plausibile.


giovedì 16 luglio 2015

il Fairplay finanziario all'italiana: un tappeto su una voragine


E alla fine ci siamo riscoperti formiche, dopo esserci sentiti dire per anni che eravamo cicale.
Come non fosse bastato un solo Fairplay Finanziario, peraltro messo in discussione in sede legale in tempi recenti, ecco arrivare la versione nostrana del più noto provvedimento già sdoganato in tutta Europa.
Un provvedimento voluto dal Presidente FIGC Carlo Tavecchio sulla scia della vicenda Parma, che ha messo in prima pagina una realtà di incurante speculazione causa di un dissesto finanziario sulla carta inestricabile.
Non c'era bisogno del Parma per capire che ci voleva una riforma, bastava ad esempio scartabellarsi i dossier dei 72 fallimenti (appena saliti a 75) che hanno fagocitato la Lega Pro negli ultimi 7 anni.
Tuttavia vale sempre la regola per cui ubi maior minor cessat e il fatto che ci si sia resi conto in colpevole ritardo che anche nella "fatata" Serie A, dimora fino a ieri di una sorta di incantesimo che l'ha resa finanziariamente dispensata da ogni regola, certe cose possono succedere ha accelerato l'ennesimo giro di vite a breve scadenza.
Vediamo come funziona questa regolamentazione.

TRA "INELEGGIBILI" ED INDICATORI: IL TRIENNIO DI FUOCO - Si parte da un presupposto che dovrebbe essere(condizionale d'obbligo quando parliamo di restrizioni in questo paese) una conditio sine qua non; chi possiede o vorrà possedere più del 10% di un club di Serie A dovrà essere incensurato per quanto riguarda reati puniti con più di 5 anni e in qualsiasi caso per frode sportiva, doping e appropriazione indebita, oltre a soddisfare un requisito di attestata solidità finanziaria attraverso istituti bancari di primaria importanza che ne dovranno certificare l'effettiva solvibilità.
In termini molto schietti, bisogna dimostrare preventivamente di avere un piano infallibile per onorare gli impegni presi.
Il parametro principale su cui i club saranno presi in esame a livello contabile  è chiamato indicatore di liquidità: molto semplicemente, ogni club deve attestare a inizio stagione di avere in cassa le risorse necessarie per far fronte a tutti i pagamenti che si prospettano durante l'anno.
Troppo drastico? Forse. E infatti la Covisoc ha previsto che ci siano altri due indicatori da prendere a parametro aventi la funzione di correggere un'eventuale mancanza di liquidità.
Come l'indicatore di indebitamento, un puro esercizio matematico attraverso cui il rapporto tra debiti totali e media triennale del fatturato non deve superare una determinata soglia che va a farsi sempre più sottile da qui a tre anni e come l'indicatore del costo del lavoro, vale a dire il rapporto tra costo della rosa e ricavi che va a stabilire con immediatezza se il club in questione di può permettersi la rosa che ha a libro paga. 
La percentuale di riferimento va a scalare nel corso di tre anni: 90% il primo anno, 85 il secondo e 80 il terzo. Per renderla facile diciamo pure che a fronte di 100 milioni di media ricavi triennale non potrò spenderne più di 90, 85 e 80 nel corso del prossimo triennio.
Se l'indicatore di liquidità è già a posto non c'è necessità di prendere in esame gli altri due. 
Qualora invece fosse dimostrato il buco di liquidità, con uno dei due indicatori in ordine le proprietà possono avere un terzo dello sconto su quanto devono immettere per coprire il suddetto buco, con entrambi gli indicatori correttivi in ordine lo sconto sale a due terzi della cifra costituente l'ammanco di liquidità.
Tutto questo va fatto in tempi stringatissimi, nonostante la gradualità: il mancato rispetto delle norme porterà all'obbligo di presentare un riequilibrio dei conti per questa stagione, al totale autofinanziamento del calcio mercato se la violazione si protrae al 2016/17 e  infine alla mancata iscrizione al campionato 2017/18 in caso di terza violazione, per poter così arrivare all'obiettivo principale valido per tutti: il pareggio di bilancio per la stagione 2018/19.
Se il 18/19 fosse oggi, parola di Tavecchio, solo cinque club sarebbero iscritti al campionato.
Lo potreste mai ritenere possibile, in un paese come l'Italia?

UN VENTENNIO DI POLITICHE MIOPI  - Tutta questa voglia di pareggio di bilancio in fretta e furia fa letteralmente a pugni con quanto si è deciso attorno al calcio italiano negli ultimi 20 anni.
In sostanza è come se foste incoraggiati a fare un utilizzo smodato di un edificio, usurandolo senza mai preoccuparvi di dovervene prendere cura e vi dicessero dopo un ventennio di eccessi a cuor leggero che avete 3 anni per ristrutturarlo a vostre spese e riportarlo ad uno stato nuovo, quasi fresco di costruzione, pena lo sfratto senza troppi problemi.
La storia inizia simbolicamente nell'Agosto del 1993, allorché la nostra Serie A conosce per la prima volta l'ebbrezza della paytv e negli anni perde letteralmente la testa, considerando una miniera inesauribile ciò che negli anni la ormai antica Tele+ versa annualmente ai club. Tra il 1996 e il 1999 piovono sui club 400 miliardi delle vecchie lire che i Presidentissimi di allora si possono intascare pressoché integralmente, grazie a una mossa del governo allora in carica che abroga un obbligo di reinvestire in attività sportiva fatto salvo per un misero 10% da destinare ai vivai di cui nessuno tiene ormai più conto.
Al termine del triennio, altro provvedimento ad hoc dal governo: i club potranno dalla stagione successiva (99-2000) andare a trattare direttamente i diritti tv con le emittenti senza più passare dalla Lega Calcio. Grazie alla discesa in campo di Stream il giro di introiti esplode ed arriva a 1000 miliardi di lire, ma tali risorse iniziano a creare una forbice sempre più incolmabile tra i club con maggiore bacino di utenza e quelli minori, creando una mappa geopolitica che darà luogo alle famose "sette sorelle" di cui parlano quotidianamente i giornali in quegli anni.
La situazione sfugge del tutto al controllo, perchè i diritti tv diventano l'unico credo di chi naviga nel calcio italiano di alto livello ed altre entrate come botteghino e sponsorizzazioni commerciali iniziano ad essere snobbate senza che nessuno faccia nulla per preoccuparsene. Questo diluvio di milioni uscirà senza nemmeno il tempo di averlo incamerato per pagare stipendi, cartellini e ammortamenti di giocatori sempre più pagati nella corsa al campionissimo in corso in quegli anni: in pratica tutto l'indotto dalle televisioni viene eroso in costo del personale mentre altrove inizia una politica di salvaguardia degli investimenti mirati e del virtuosismo di cui vediamo gli effetti oggi.
Il problema italiano è che non c'è solo il personale da foraggiare ma anche importanti costi di gestione a cui far fronte: la corsa a chi compra a cifre più alte non si ferma neanche lì e gradualmente le casse si svuotano fino ad arrivare ad un indebitamento di circa due miliardi di Euro  nel 2003.
Ristrutturazione? Manco a parlarne, meglio la scorciatoia contabile. Come le false plusvalenze: un giro di soldi virtuali che drogano i bilanci di Società che si scambiano vicendevolmente cifre assurde per giocatori il più delle volte quasi mai scesi in campo. L'alleanza più proficua in questo senso è quella Lazio-Parma, i due club i cui presidenti non a caso faranno crack di lì a poco ma anche il giro di giovani e carneadi (Brncic uno su tutti) inscenato tra Inter e Milan e le plusvalenze dorate della Roma nelle vendite al Palermo (club con lo stesso proprietario, Franco Sensi) fanno la loro parte.
Quando Gazzoni denuncia il giochetto il governo interviene nuovamente con il famigerato decreto salvacalcio, che permette di svalutare il parco giocatori su 10 anni permettendo ai club più erosi (soprattutto le milanesi e le romane) dalla gestione spendacciona di assorbire perdite altrimenti devastanti. Un provvedimento che poi la Commissione Europea attraverso Mario Monti ridurrà a soli 5 anni inguaiando parzialmente soprattutto il Milan e l'Inter, che dopo le rispettive Champions League conquistate saranno costrette a una dieta forzata ben lontana dai lustri di un tempo.
Fino all'ultima energica spintarella che le istituzioni danno ai club nel 2007 per mettere una pezza allo sconvolgimento creato da Calciopoli: non si tiene più conto del rapporto tra debiti e ricavi purchè si inquadrino i requisiti aziendali previsti dal Codice Civile e si sia a posto con i contributi. Un'ulteriore benda che le istituzioni si mettono per fare in modo che i fatti di Calciopoli e le conseguenze in termini finanziari non finiscano per ammazzare la Serie A (che come movimento, a giudizio dello scrivente, muore lì) e che non tiene contro tra le altre cose dei debito verso fornitori e dello stato patrimoniale di eventuali controllate facenti parte dei club.
La tabella riferita al 2013/14 mostra come i ricavi della Serie A siano ancora quasi interamente erosi dal costo del personale

Ecco come si spiegano in parte i 75 fallimenti in Lega Pro di cui si parlava prima, orde di mancate iscrizioni e ripescaggi continui in Serie B e il dramma in cui è passato il Parma.
Dopo un ventennio passato a finanziare un'esorbitante spesa corrente pur di non implodere definitivamente piuttosto che programmare l'ingresso nel futuro attraverso lungimiranza e investimenti a rendere, dopo una voragine creata dall'incapacità e dalla connivenza di governi e dirigenza oggi si introduce un regime di tolleranza zero in pochissimo tempo, sulla carta impossibile senza qualche artificio finanziario.
E' peraltro in questa situazione che sta venendo fuori il calciomercato più esoso degli ultimi 15 anni: club che dovrebbero in teoria tagliare qualche costo per adeguarsi al provvedimento drastico in arrivo, spendono invece cifre che non vedevano da una vita. Una coincidenza dal tempismo davvero azzeccato, non trovate?

IL MIRAGGIO DEGLI STADI - Ad aggravare ulteriormente la situazione dei ricavi che non ci sono, la questione stadi: una legge invocata per anni ed anni che è arrivata a compimento solo nel Dicembre 2013 con la legge di stabilità.
Anche in questo caso alle spalle c'è un'infinità di palliativi e responsabilità maldistribuite che hanno bloccato un processo di rinnovamento completamente bypassato dalla scellerata gestione sui mondiali Italia '90, in cui si è badato più a gonfiare le spese per favorire gli amici degli amici piuttosto che a creare delle strutture ancora godibili dopo un ventennio (L'Amsterdam Arena, per dire, risale al 1996).
Per non occuparsi del problema ci fu detto ad esempio che la colpa era degli ultras che allontanavano dallo stadio le famiglie, quando è un dato di fatto che negli anni '80, periodo di massimo splendore negli stadi italiani, la violenza era un problema molto più serio. Ovviamente il problema c'è e non si può negare: ma valeva forse provvedimenti francamente discutibili come la Tessera del Tifoso, un fallimento per tutti tranne per le banche che l'hanno fatta emettere, i tornelli, i biglietti nominali e tutti quei provvedimenti svuotastadio visti in questi anni? Sicuramente ci hanno guadagnato le televisioni, che oggi comandano la baracca facendo il bello e il cattivo tempo sul campionato spezzatino che siamo abituati a vedere.
Mica come in Inghilterra, dove un terzo delle partite sono private delle telecamere sin dagli anni '90 per preservare gli incassi del botteghino in stadi ben diversi da quelli italiani.
L'emendamento attuale sugli stadi, finalmente approvato, presenta semplificazioni burocratiche non indifferenti rispetto al passato ma anche un grosso limite: per prevenire ogni forma di corruzione esiste un vincolo che non permette di includere ogni forma di edilizia residenziale intorno allo stadio.
Se da una parte si evitano colate di cemento incontrollate, dall'altra si scoraggia in partenza il privato che parteciperebbe ad un progetto di questa portata solo attraverso un tornaconto con cui rientrare nell'investimento: senza edilizia privata, i club dovranno fare da sé con tutti gli annessi e connessi del caso.
Stimando inoltre che la Serie A perde un potenziale miliardo all'anno in giro di affari a causa dell'arretratezza delle sue strutture e dei mancati incassi dal "matchday" che altrove fanno la differenza sul bilancio.
Non sarebbe stato il caso di attendere la creazione di una struttura seriamente sostenibile prima di varare provvedimenti che rischiano ancora una volta di spingere verso la scappatoia contabile piuttosto che sull'investimento?

Tavecchio ha ragione, non è lui l'inadeguato. Tutto sommato le riforme sono concettualmente interessanti, pur potendosi sviluppare meglio a parere di chi scrive.
L'unico soggetto inadeguato in tutta la faccenda è l'immaginario soggetto giuridico Calcio Italiano Spa e tutti coloro che lo hanno avvelenato inventandosi poi l'antidoto.
Chi pagherà davvero, alla fine di tutta la storia?




Nota a margine: consiglio per approfondire la vicenda la lettura del libro "Goal Economy" di Marco Bellinazzo, da cui molti degli spunti di questo post provengono.