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martedì 8 settembre 2015

Che fine ha fatto Doyen? L'estate di Nelio Lucas tra affari e tribunali



"Nelio Lucas, non Doyen".
Ve la ricordate questa frase? Sui social network é diventata famosa nel corso di quest'estate dopo che Milan Channel la utilizzò in una sua grafica per fare in modo che il club prendesse le distanze dall'ormai chiacchieratissimo fondo di stanza a Malta.
Qualche mese dopo possiamo dirlo con più certezza: nel canale tematico rossonero non ci erano andati così lontani. Se il concetto in sé e per sé può difficilmente esistere, vero è che le strade dei due annunciati amanti di inizio mercato a un certo punto si sono divise per non reincontrarsi più, quantomeno pubblicamente, fino alla fine.
Mentre tiro un bel sospiro di sollievo e con molto conforto ritorno sui miei passi di inizio Giugno, vi racconto cosa ha fatto Doyen quest'estate senza certo parlare di vacanze.
Riavvolgiamo il nastro: è Giugno e c'è l'annuncio che riguarda la cessione del 48% del Milan a Mr.Bee che sceglie come advisor di mercato Doyen Sports, con tanto di tronfio annuncio da parte del fondo sul proprio sito internet.
Si rincorrono i nomi: Falcao, Brahimi, Gabigol e tanti altri in orbita Doyen per fare un grande Milan fin da subito. Il selfie che ritrae Galliani e Lucas su un lussuoso aereo privato sembra certificare l'unione, che dovrebbe sfociare in un affare molto redditizio per vestire di rossonero Jackson Martinez, per poi sferrare l'assalto a Kondogbia e concludere con il ritorno in pompa magna di Ibrahimovic.
Il sodalizio dura finchè in un nerissimo sabato di Giugno sfuma il colombiano, che va all'Atletico Madrid e sfuma anche Kondogbia in un derby cittadino vinto dai nerazzurri.
Da qui in poi tutto finito: nessuno a parte i protagonisti saprà mai con certezza l'esatta dinamica, ma nel dubbio la stampa fa a pezzi Lucas ritenuto responsabile delle due docce gelate e da qui in poi di Doyen e Milan non si parlerà più, anche se l'intercessione del fondo potrebbe aver facilitato l'affare Bacca (condizionale d'obbligo) visti gli indiscussi agganci con il Siviglia.
Anche se solo il bilancio rossonero potrà sopire ogni dubbio in merito, mi sbilancerei nell'affermare che a rigor di logica i soldi che girano non dovrebbero essere quelli del fondo, ma lo stanziamento messo a disposizione dai Berlusconi nell'ambito di una trattativa societaria ancora nebulosa e non giunta a conclusione.
Il crocevia nel day after la crociata di Montecarlo fallita dal Milan, Doyen cambia percorso e avvia un vero e proprio tour europeo tra affari e tribunali.

PORTO - Certi amori non finiscono, fanno giri immensi e poi ritornano. Ecco, se Doyen era partita dal Portogallo e da Oporto per tentare di mettere le mani sul calciomercato europeo, è a Oporto che ritorna subito dopo aver abbandonato i radar rossoneri, divenuti ormai ostili.
Non che Doyen sia appannaggio esclusivo di un solo club per volta, chiariamoci, per i calciomercanti del nuovo millennio mettere il piede in più scarpe è una regola ferrea e intaccabile. Con il Porto però, la sinergia torna a crescere come un'estate prima. Al punto che Giannelli Imbula, giocatore che stava per firmare con l'Inter, viene prelevato dall'Olympique Marsiglia e spedito al Porto per una cifra assolutamente fuori da ogni possibile previsione: 25 milioni di Euro che sembrano una follia assoluta in un momento in cui l'OM era atteso da un'ispezione dell'organo di controllo gestione francese, equivalente all'obbligo di contabilizzare entro il 30 Giugno.
La sera del 29, invece, quando una normale transazione soggetta alle leggi di mercato avrebbe voluto che fosse il compratore ad avere le migliori condizioni vista la situazione del venditore, Imbula si muove a quella cifra e si sparge presto la voce che c'è lo zampino di Doyen come sgarbo all'Inter per risarcire il Milan. La verità è un'altra ed emergerà con più chiarezza settimane dopo.
Nel Porto in cui c'è la coabitazione forzata con Jorge Mendes, come in tutto il mercato portoghese, Doyen recita un ruolo importante nella mediazione che porterà al do Dragao Iker Casillas e Maxi Pereira (dal Benfica, non un dettaglio) e si congeda regalando nelll'ultimo giorno di mercato Jesus Corona, un messicano che veste la maglia del Twente e di cui Doyen possedeva i diritti economici fino al ban della Uefa (su cui torneremo poi): sarà un caso ma gli olandesi vedono solo una tranche di quei soldi, con la restante percentuale ufficialmente promessa per l'anno successivo, con il dubbio che rimane a proposito della cassa da cui verranno prelevati.
Poco più in basso qualcosa si era mosso anche a Lisbona sponda Benfica, un appezzamento privilegiato di Jorge Mendes che ha dirottato nelle casse del club lusitano i milioni di Lim nello shopping del Valencia.
A partire da Ola John, il giocatore che secondo molte versioni fece (indirettamente) incontrare nel 2013 Adriano Galliani e Nelio Lucas: con la necessità di dirimere la questione sulla proprietà del giocatore a seguito del ban della Fifa, il Benfica ha cercato per tutta l'estate di vendere il giocatore riuscendo solo ad ottenere un prestito a Reading durante l'ultimo giorno di mercato, con il risultato di un debito aperto di poco meno di 6 milioni nei confronti di Doyen per la percentuale che il fondo deteneva sul giocatore, che il Benfica si è poi impegnato a risarcire in più tranches.
Non é dunque così difficile intravedere una connessione tra il braccio di ferro per il rinnovo di Maxi Pereira col Benfica mai avvenuto ed il suo passaggio gratuito ai rivali storici del Porto curato proprio da Doyen, in posizione di forza visto il credito accumulato con il club di Lisbona.

OLYMPIQUE MARSIGLIA - Imbula, dicevamo: sgarbo all'Inter o favore all'Olympique Marsiglia? Tutto lascia pensare alla seconda ipotesi, perchè una cifra del genere alle condizioni già descritte sopra per un giocatore che in questo momento è dichiarato ancora lontano dall'ambientamento non è casuale in un mercato come quello attuale.
Doyen collabora con l'OM e le settimane successive lo chiariranno senza ombra di dubbio: al club francese Doyen "media" i trasferimenti di Manquillo dall'Atletico Madrid e di Lucas Silva dal Real Madrid, oltre a far muovere ancora una volta dal Porto il difensore Rolando, che l'Inter non riuscì a riscattare un anno fa.
Ci sarebbe stato anche tranquillamente spazio per Leandro Damiao, un altro pezzo "pregiato" della scuderia, se non fosse che il brasiliano si sia messo di traverso rifiutando la destinazione: ai piani alti del fondo non l'hanno presa benissimo.
Doyen e OM non si sono incontrati in questi mesi: già nel 2014 Nelio Lucas aveva espresso l'intenzione di sbarcare in Francia dove gli sceicchi del PSG e il Monaco fortemente condizionato dall'impronta dell'onnipresente Mendes avevano dominato il mercato.
A Marsiglia Doyen aveva ad esempio piazzato Doria, giocatore che Bielsa etichetterà come "non richiesto" e che in Costa Azzurra non lascerà tracce di sé.
Ed è forse proprio a causa, o concausa, di queste politiche societarie non totalmente concentrate sul campo che "El Loco" lascia la panchina marsigliese all'alba del campionato 2015/16: il posto vacante non sfugge a Doyen che il 19 Agosto lì vi sistema uno degli allenatori della sua scuderia, Michel.

SPORTING E FIFA: LE BATTAGLIE LEGALI - La torrida estate di Doyen non ha vissuto di soli affari, ma anche di diverse apparizioni in tribunale ove, caso strano, ha interpretato sempre la parte dell'accusata, sia essa riconducibile ad un'azione da parte di un club piuttosto che di un ricorso a seguito di un provvedimento limitante.
Doyen viene trascinata al TAS da Bruno de Carvalho, Presidente dello Sporting Lisbona, a metà Giugno per risolvere l'asprissimo contenzioso aperto dall'affare Rojo, secondo l'accusa forzato dal fondo e ampiamente antieconomico per il club lusitano.
Per l'occasione Doyen schiera in suo favore una lista di personaggi a testimoniare per la propria onorabilità: tra questi è il caso di citare il Presidente del Porto Pinto da Costa, che da queste colonne non è mai stato trattato con i guanti e che comunque con Doyen ha solo di che guadagnare (lui personalmente, si intende) e ben due ex dirigenti dello Sporting stesso tra cui l'ex Presidente Godinho Lopes.
Un caso più unico che raro di ex dirigenti di un club che vanno a testimoniare in favore di un esterno contro il club stesso. Il contenzioso è ancora in essere e non è di facile risoluzione, ma le accuse a carico di Doyen non sono esattamente morbidissime, nel momento in cui emergono dettagli inquietanti sulla vicenda e sul contratto-capestro che l'ha accompagnata.
Da Losanna a Bruxelles il passo è breve ed è lì che Doyen consuma un altro capitolo della sua estate a colpi di carte bollate, perdendo il primo round di una guerra contro la FIFA e il divieto TPO che ci accompagnerà per parecchio tempo.
Doyen manda in campo lo stesso difensore (l'Avvocato Dupont) e gli stessi argomenti (violazione dei principi di libertà dell'UE) che avevano fatto colpo sul tribunale di Prima Istanza di Bruxelles qualche settimana prima nell'ambito del ricorso Striani sul breakeven imposto dal Fairplay Finanziario ma questa volta la capitale belga non è terra di conquista, allorché lo stesso tribunale a fine Luglio dice no alle motivazioni Doyen riguardanti soprattutto la circolare 1464, definita "abuso di posizione dominante della Fifa".
La motivazione principale espressa dagli organi istituzionali è molto semplice e chiara: non c'è prova di violazioni delle leggi UE. Un verdetto difficile da digerire per Doyen che con Dupont, sempre quello della sentenza Bosman, era molto confidente di portare a casa un risultato migliore.  Anche questa guerra comunque è tutt'altro che conclusa, con il fondo supportato anche da Federazione spagnola e portoghese che ha minacciato tempesta attraverso il suo sito ufficiale.
Portogallo e Spagna, i feudi di Doyen: anche se non sono stati approfonditi in questa già lunga ricostruzione analitica, Atletico Madrid e Siviglia rimangono sotto la forte sfera di influenza del fondo, che anche per quest'estate gli ha quasi totalmente rivoluzionato la squadra.
Doyen c'è, insomma: sarà scomparsa dalle cronache ma di certo è ancora radicata molto bene nel mondo del calcio, reiterando quell'anomalìa finanziaria ormai sempre più vista come una regola a cui bisognerà porre ancora più freni prima che diventi ancora più problematica.

mercoledì 2 settembre 2015

Tabula Sparigliata


Ci scusiamo per l’inconveniente, ma questa è una rivoluzione.
Mi sono preso quasi 48 ore per far decantare i lasciti ereditari di un mercato che è andato come più o meno nessuno poteva immaginare, eccezion fatta per i protagonisti e che ha alimentato strada facendo mille voci ora decise, ora contradditorie che lo hanno accompagnato.
Senza Champions l'Inter è fallita, anzi no: contrordine, forse ce la fanno ma non spenderanno un euro, anzi no: precisiamo, forse spendono se vendono però non ci possiamo giurare, anzi no: non spendono più, Mancini ha detto che di giocatori bravi a poco prezzo non ce ne sono, anzi no: Thohir ha i conti alle Cayman, quindi scappa con il malloppo, anzi no: Thohir resta ma se ne va Mancini, anzi no: forse se ne vanno entrambi.
Un'estate italiana, oserei dire: chiacchiere sconfessate alla prova dei fatti, con i sassolini a volare dalle scarpe di chi ha opportunamente taciuto o semplicemente ha solo creduto da subito in un epilogo diverso.
Perchè alla fine di giocatori ne sono arrivati 10, un'intera squadra di movimento a totale misura dell'allenatore.

Prima considerazione: Mancini é stato ingaggiato per dare un indirizzo decisivo all'area tecnica ed ora ne abbiamo la totale controprova dal momento che la squadra è sostanzialmente a sua immagine e somiglianza.
Una schiera di marcantoni a fare da cerniera centrale per un attacco in bilico tra utilità tattica ed enorme tecnica, con una retroguardia totalmente rinnovata in termini di elementi ed affidabilità.
Funzionerà? i presupposti ci sono, ma ad oggi dirlo con certezza non si può davvero.
Tocca a Mancini, dopo che la Società ha fatto il suo (e che suo), prendersi la responsabilità di una squadra che ha pensato e voluto da capo a coda.

Ma come ha fatto esattamente l'Inter a comprare più di tutti?
Per tutta l'estate ho sentito dire "e il Fairplay Finanziario?" e ho pensato che si è fatto un capolavoro riuscendo a trasformare una cosa assolutamente lineare come la matematica in una bolla d'aria da peggiori Bar Sport, visto che questa storia del Fairplay Finanziario è passata di voce in voce e di penna in penna fino a diventare una sorta di custodia cautelare, ove la prima mossa fuori dal seminato scatena le rimostranze dei novelli giustizialisti della finanza.
Poco importava all'Inter che aveva già iniziato la sua campagna andando a prendere già in inverno quel Jeison Murillo che dopo la Copa America, di cui si porta a casa il riconoscimento di miglior giovane, forse sarebbe valso il doppio.
Poi Kondogbia, nella notte di Montecarlo in cui i nerazzurri hanno dimostrato che il lavoro sottotraccia ha un senso, visto che a riempire le prime pagine del francese con addosso la maglia del Milan c'è stato solo di che guadagnarci.
35 milioni sono tanti, ma anche il necessario per portare all'allenatore il profilo da lui indicato come priorità dopo la dipartita dell'affare Touré.
Via via che si avvicendavano i Miranda e i Montoya, iniziavo a leggere e a sentire considerazioni sul fatto che "tutti questi pagherò gli faranno fare una brutta fine".
Quando siamo al 2 Settembre "tutti questi pagherò" sono quattro: Dodò e Brozovic il prossimo Giugno, Miranda e Jovetic tra due anni.
E quasi tutti in pagamento dilazionato, senza che debba star qui a puntualizzare che i pagamenti sull'unghia li fai se ti chiami PSG, Man City, Man United e via dicendo, mentre per il resto del mondo conosciuto il "pagherò" è l'unica soluzione percorribile per permettere determinate operazioni.
Che talvolta nemmeno riescono: vedere alla voce Imbula, strappato dal Porto in un soffio per le migliori condizioni proposte.

In mezzo a tutte queste aperture di portafoglio, c'era una squadra intera in vendita: "Non entra nessuno finchè non esce nessuno" era diventato un mantra, nel sottobosco di trasferimenti rifiutati da parte di chi aveva già annusato il profumo di una squadra che sarebbe stata attrezzata per l'assalto ai vertici, quantomeno da tentare.
Qualche cessione si riesce a fare, altre continuano a dover essere rimandate e l'Inter inevitabilmente entra in empasse, evidenziando come unica possibile debolezza della sessione di mercato quelle tre settimane impiegate per cedere Shaqiri, riuscendo poi peraltro a farci plusvalenza, che forse la dirigenza non si sarebbe aspettata.
Si sarebbe comunque poi capito molto bene che trattare con i tedeschi (in quel caso lo Schalke04) equivale più o meno a bucare un blocco di granito con un onesto Black&Decker in mano.
Shaqiri ceduto, Jovetic arrivato e allora che si fa? Si prova a chiudere Perisic.
Sì, ma ci sono ancora i tedeschi di mezzo e con il Black&Decker se va bene di questo blocco di granito avremo ragione per l'Epifania, altro che il 31 Agosto.
Servono i cannoni di Navarone, altroché. O in termini calcistici, ad esempio, la cessione di Kovacic: 35 milioni allungati da Florentino Perez senza che nessuno si sia scomodato a dire che forse forse erano un po' troppi, anzi. Il messaggio che passa é che l'Inter vende i campioni in nome del bilancio mentre solo due mesi prima invece il Monaco aveva fatto un capolavoro a vendere un 22enne a quella cifra, pensa un po'.
Non sembra, ma con sole due operazioni l'Inter ha già tirato su quasi 60 milioni, inaugurando per sè stessa la tanto attesa epoca del resale value, cioè prendere un giocatore giovane e sapere di poterne rivendere il potenziale a tre volte tanto, cosa che ad esempio non era stata fatta tempo prima con Coutinho.

Nonostante una trattativa di logoramento e l'ansia di molti tifosi che avrebbero volentieri mandato a svernare il DS del Wolfsburg in luoghi poco ameni, l'Inter resta in Germania e colpisce, portandosi a casa Perisic: un altro azzardo che paga, dopo l'asta principesca per Kondogbia, a dimostrazione che in questa sessione se l'Inter si pone un obiettivo prioritario, lo conquista.
Mancherebbe giusto l'ultimo sforzo, ma non è facile: ci vogliono almeno una decina di milioni e la calcolatrice dice che il saldo della sessione potrebbe essere sforato.
Arriva in soccorso l'aiuto che non ti aspetti: la Juventus vuole Hernanes, giocatore tenuto in considerazione ma non certamente al centro del progetto tecnico, uno di quelli che sono l'esatta antitesi del resale value di cui si parlava sopra.
Bene, affare fatto: 11 milioni più bonus che vanno a finanziare Melo e Telles, trattati per tutta l'estate e lasciano il giusto per Eder che poi si complicherà a causa di patti mancati e porterà in dote Ljajic.

Risultato: 10 acquisti, uscite per quasi 87 milioni ed entrate per poco più di 90, che corrispondono a un saldo attivo di 3,2 milioni.
"E il fairplay finanziario?" Eccovelo. Fare in modo che i ricavi siano superiori alle spese, nulla di più e nulla di meno. Questo è il Fairplay Finanziario.
Quello che resta davanti agli occhi è una squadra su cui qualche interrogativo tecnico rimane ma che ha fatto un evidente salto di qualità, risultando anche la più giovane dell'intera Serie A.
Niente male.

Sono troppo lusinghiero, dite? o addirittura aziendalista, se volete essere più maliziosi?
Lo si potrebbe pensare, senza dubbio.
Però provateci voi ad avere una fame da lupi, sentirvi dire per mesi che vi serviranno gallette rafferme e fagioli in scatola per poi trovarvi una tavola apparecchiata con un buffet in grado di soddisfare sicuramente i palati ormai abituati a troppo cibo liofilizzato o appena appena mangiabile.
Provateci voi in queste condizioni a mantenere un contegno imperturbabile mentre i vostri vicini di casa che raccontavano di piatti da gran gourmet preparati sul posto dagli chef stellati vi guardano con una faccia tra l'atterrito e il sorpreso godervi un banchetto che ad occhio sembra nettamente migliore del loro.
Potrete così capire come se la stanno passando in questi giorni i tifosi dell'Inter.

Il tavolo é stato sparigliato per davvero.
Ed ora entriamo in campo e sparigliamo anche le classifiche.