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lunedì 20 novembre 2017

Non è più un caso



Oggi vi stupirò con un gioco di prestigio: leggerò il vostro pensiero, non quello attuale ma quello retrodatato.
Entrerò nella vostra mente per come è stata in due momenti ben precisi: l'immediato pre Inter-Atalanta e l'intervallo della partita.
Verso le 19.30 di domenica sera, stavate pensando pressappoco questo: la Lazio ha perso, la Juventus ha perso, il Milan ha perso e noi dobbiamo ancora giocare. Siamo reduci da un pareggio in cui abbiamo ripreso la partita per il ciuffo, c'è stata una sosta mai troppo benevola con noi in mezzo, abbiamo l'occasione di approfittare dei passi falsi delle altre.
La vostra impeccabile analisi devia sulla conclusione tipica dell'interista davanti a questo genere di coincidenze astrali: è il momento dello sveglione, quello che ci riporterà a terra, che mostrerà agli inguaribili ottimisti la fragilità mentale insita nel DNA di questa squadra. Spiace dirlo ma noi siamo così, ci siamo trascinati per inerzia e adesso il credito è esaurito.
Ci ho preso? Allora vado ancora più in là e decodifico il vostro pensiero nell'intervallo di Inter-Atalanta: lo sapevo, è la solita partita del cazzo(testuale) in cui ci accartocciamo alla distanza, ci incaponiamo, ci deprimiamo, ci disuniamo e alla fine vedrai che prenderemo anche il gol della domenica da un Gomez o da un Ilicic e sarà tutta una curva discendente fino al crollo completo.
Giusto? Diciamo che sono abbastanza convinto che 8 interisti su 10 l'hanno pensata così.


Invece ad accartocciarsi è stata l'Atalanta, perchè banalmente in questo pensiero condizionato emotivamente dagli eventi passati, ci siamo dimenticati una cosa fondamentale: l'Inter non perde da 13 partite, che diventano 19 se consideriamo un precampionato che aveva già fatto vedere tutte le idee di una squadra che stava iniziando ad essere una squadra. Ammesso che lo sia mai stato, non è più un un caso.
Che l'Inter abbia svoltato dal punto di vista della mentalità lo abbiamo capito in molti, chi prima e chi poi: siamo adesso noi ad essere quelli oggettivi,razionali e con in tasca il conforto dei fatti.
Se ne stanno accorgendo anche gli avversari, anche l'Atalanta che è una delle squadre più collaudate del campionato si è presentata qua senza una prima punta di ruolo e con un centrocampo piuttosto corazzato: meno propositiva del solito, a lasciar intendere che sono finiti i tempi in cui una buona organizzazione di gioco unita ad un paio di elementi di buona qualità bastavano per pensare di banchettare a San Siro.
Quello che avete pensato all'intervallo, secondo il mio pronostico, vi ha dato la convinzione che l'Inter stesse giocando male e questo a tratti è vero, ma non spiega tutto: perché, come avevo già scritto due settimane fa, in questo avvio di campionato da cifre record ci siamo dimenticati che gli avversari non sono scomparsi e l'Atalanta del primo tempo di San Siro ne è la prova. 

Ci hanno incartato con la densità, gli uno contro uno, il ritmo molto alto. Questo è un altro elemento di rottura col passato: l'Atalanta ha corso tanto, tantissimo e per tenere il risultato al giro di boa della partita ha dovuto spingere a tavoletta il pedale dello sforzo collettivo ben oltre il livello medio con cui molte contendenti hanno fatto bottino pieno a San Siro in altri tempi.
Poteva perfino non bastare, perchè l'Inter era arrivata in porta con tre passaggi anche nel primo tempo, ma Icardi è stato benevolo con la Dea nel duello a tu per tu con Berisha.


Data la situazione all'intervallo, nel secondo tempo servivano due elementi all'Inter: la crescita dell'impianto di gioco soprattutto a centrocampo ed il calo fisiologico dell'Atalanta.
Ma all'ingresso del secondo tempo succede una cosa che è il Turning Point, il punto di svolta dell'Inter 17-18: i giocatori iniziano a rifiutare lo stallo della partita ed iniziano a prendere di petto la situazione mettendo in campo lo sforzo supplementare per portarsi a casa la partita facendo valere la maggiore qualità. A questo si uniscono anche degli aggiustamenti tattici riusciti, come l'arretramento di Borja Valero e l'intensità nell'andare a fermare sul nascere ogni transizione della squadra di Gasperini. Considerando che l'azione orobica parte sempre dalla fascia è così che D'Ambrosio si apparecchia un secondo tempo magistrale, è da qui che l'Inter fulmina l'Atalanta in dieci minuti.
A questo punto potremmo stare qua a dirci che, stringi stringi, la differenza la fa Icardi da solo, il che potrebbe risultare vero sulla superficie ma non in senso assoluto.
Riguardando meglio il primo gol, realizziamo che se Icardi può andare a colpire sostanzialmente indisturbato è soprattutto perché Skriniar (sì, sa fare anche questo) riesce a fare un doppio blocco: sul suo marcatore prima ma anche e soprattutto su Cristante che, accortosi saggiamente che Toloi avrebbe potuto mancare l'intervento, stava per tentare la chiusura in extremis prima di schiantarsi su un Tir con la targa slovacca.
Riguardando meglio il secondo gol, prendendo atto di un movimento stratosferico del Capitano goleador che nemmeno stupisce coloro che gli stanno riconoscendo la miglior stagione della carriera, realizziamo che l'azione la guadagna D'Ambrosio con un anticipo secco e potente, la sviluppa anche Candreva che porta via il raddoppio al compagno lasciandolo libero di andare al cross prendendo la mira per la finalizzazione magistrale di Icardi.
Questo è il turning point dell'Inter: gli eventi non si subiscono, gli eventi si dominano. Il mantra usato come un coltellino svizzero da Spalletti fin dal primo giorno all'Inter ed ora anche visibile nelle dinamiche di campo. 

L'Inter che non perde non è più un caso: se l'Inter non perde è soprattutto perché gli eventi li ha sempre dominati salvo un paio di casi in cui effettivamente la fortuna ha sorriso ed aiutato a trovare la strada giusta, tanto quanto ha tolto la possibilità di tagliare il traguardo in altre occasioni.
E pazienza se la proposta di gioco non è ancora perfettamente riconoscibile: tocca nuovamente ricordare che l'Inter è una squadra nuova, cosa che ci diciamo tutti gli anni, ma che risulta sempre vera. Tocca ricordare che è l'unica squadra nella Top 5 ad aver ricostruito la propria spina dorsale e non è una cosa da poco: l'unica altra big ad averlo fatto naviga ad un punteggio più vicino alla retrocessione che alla Champions League.
Per stare all'Inter ora serve uno standard molto alto: emblematico è in questo caso Dalbert, che ha visto passargli davanti i rivitalizzati Nagatomo e Santon, non perchè sia per forza stato bocciato ma semplicemente perchè così non basta. Non quest'anno, non per Spalletti.

Qua gli esami non finiscono mai ed è pacifico: fino a quando non ci sarà una posizione consolidata in primavera ogni settimana sarà la prova di maturità, la conferma da trovare, il tabù da sfatare, il passato da cancellare.

Però non è più la squadra che si adegua agli altri, non è più la squadra che annaspa in mezzo ad equivoci tattici, non è più la squadra che perde la trebisonda al primo ostacolo che trova, non è più la squadra che cavalca gli eventi facendosi poi puntualmente disarcionare.
No, signori: questa Inter non è più un caso.

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